Riflessioni su Randagi
di Benito Marziano
|
Randagi
per libera scelta o girovaghi e inconcludenti in quanto reietti, messi da parte, emarginati e disprezzati?
La
lettura delle pagine dell’amico Benito Marziano ti procura sempre una certa
confusione mentale dovuta, forse, alla sua capacità di farti inoltrare in un
mondo mascherato, se non camuffato, e di farti vedere the dark side of the moon, cioè il lato oscuro della luna; quella parte
di luna che il sole non illumina e che, suo malgrado e non per sua scelta,
appare buio e invisibile agli occhi di chi non sa guardare. L’Autore riesce
benissimo a mettere in mostra le storture e le ingiustizie che perseguiamo
fingendo di non sentire le suppliche di chi accoratamente ci chiede il suo
aiuto o facendo finta di non vedere la miseria esistenziale del mondo che ci
attornia.
Un
mondo o, meglio, un microcosmo fatto di gente debole,
di persone incapaci di far fronte alle difficoltà della vita e che si lasciano
andare lungo la china dell’obnubilamento procuratosi artificialmente per
dimenticare tutto e tutti.
Un
microcosmo, o meglio un mondo a parte, costellato di uomini silenti e incapaci
di comunicare, la cui unica occupazione è quella di sopravvivere ancora per un giorno e che cercano inutilmente di ricostruire le
trame e i momenti salienti della propria vita passata.
E
in questo l’Autore si dimostra un maestro veramente abile nel condurre i
protagonisti e, loro malgrado,
i lettori a ripercorrere le intricate vicende che hanno segnato negativamente
le loro esistenze. Tramite l’uso del flashback e del flusso della coscienza si
ritrovano, nel momento cruciale della morte o della salvezza, a rivivere la
storia di quello che erano e a scoprire le cause di quello che sono diventati. E la coscienza, nel suo fluire, non ha bisogno di
parole, di punti o di virgole. Essa lascia emergere delle immagini che non sono
né a colori, né in bianco e in nero, né in scala di grigi. Sono solo delle
immagini mentali che non parlano nessuna lingua e tuttavia sono più che
eloquenti.
Noto,
14.01.2011
|
 
Maria Lucia Riccioli
Ferita all'ala un'allodola
2011, 8°, pp. 450
€ 23,00 |
Quella di Mariannina Coffa – netina per natali ma affratellata all’universale per vocazione e libertà di spirito – rappresenta una delle parabole umane ed esistenziali più drammatiche e interessanti di tutto il Risorgimento italiano. Poeta tormentato e altamente civile, sensibile agli afflati della giustizia sociale e della modernità, artista eclettica, corrispondente vivace delle maggiori voci del suo tempo, femminista, spiritista ma prima d’ogni cosa donna e patriota, la Mariannina che vien fuori dalle pagine di questo romanzo si lascia leggere e interpretare alla luce di un assoluto nitore letterario e storiografico. Sullo sfondo del racconto, i giorni tumultuosi ed emozionanti dell’Italia nascente. Un libro intimo e struggente sulle necessità del genio e della Storia, ma non meno attento, non meno sensibile, alle motivazioni poeticissime del cuore. In una parola: bellissimo.
Luigi La Rosa
Una ricerca storica tanto approfondita e minuziosa farebbe presupporre un romanzo che tragga il suo valore dalla forza dei fatti. Niente di più sbagliato. I fatti – e quali fatti – restano, ma sopra di loro Mariannina prende il volo per offrirsi come uno dei più trepidi e irradianti personaggi del nostro panorama letterario. E lo stile della Riccioli! Basterà leggersi la magistrale scena delle nozze in cattedrale in un’alba livida e la sposa “presa di freddo”, presagio di un amaro destino. Una prosa sfumata e robusta, mai dimentica di ritmo e poesia in un impianto di scrittura senza cedimenti né pause, in una parola, che va dritta al cuore
Lia Levi
Maria Lucia Riccioli, nata a Siracusa il 18 settembre 1973, insegna Lettere nei licei. Scrive da sempre, in dialetto siciliano e in lingua, in versi e in prosa. È stata semifinalista al II Campionato nazionale della lingua italiana. Ha partecipato a varie rassegne e concorsi e alcuni dei suoi lavori sono stati pubblicati su quotidiani, riviste ed antologie. Ha frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Silvana La Spina e Claudio Fava e, attualmente, studia teorie e tecniche della narrazione con Luigi La Rosa.
|

Brevi note a margine
della presentazione
della pubblicazione
di Roberta Coffa |
1) E’ importante pubblicare per far conoscere agli altri il proprio pensiero, anche perché la comunicazione è uno degli strumenti della conoscenza e quindi della cultura. Coltivare (da cui, come è stato detto, nasce la parola cultura) è seminare, curare e raccogliere. L’intimismo è un fatto semplicemente egoistico.
2) Sulla tematica della bioetica è intervenuta nei dibattiti l’antitesi tra visione “laica” e visione “religiosa”. Ma, come ha sostenuto giustamente l’autrice del libro, bisogna superare tale conflitto-contrapposizione.
3) La conoscenza e quindi la cultura deve avere un carattere “plurale”, ma non deve nascere da uno sterile contrasto e/o separazione. A tal proposito vorrei citare Emanuele Severino “Quanto più si riesce a separare una cosa dalle altre ed a concepirla in questa sua separatezza e isolamento, tanto più si è potenti su di essa” ( da - Il declino del capitalismo – BUR, pag. 108). Quindi, secondo me, la contrapposizione è solo strumentale e serve per affermare, ognuno nel proprio campo, una posizione di potere.
 Paolo Pantano
|
|